I Nine Inch Nails danno l'addio alle sceneFonte: delrock.it

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Sarà il nostro ultimo tour per un po'". Con queste parole, unite a una raccomandazione - "
se vi piace un nuovo gruppo, comprate i loro dischi e il merchandising originale" - Trent Reznor presentava il penultimo pezzo in scaletta: The Hand That Feeds. Lasciando al futuro il compito di stabilire
se si tratti di un addio o un arrivederci sotto altre forme, tutto lascia intendere che la creatura Nine Inch Nails sia arrivata al capolinea, dopo 20 anni da Pretty Hate Machine e 15 dal capolavoro The Downward Spiral. Fermo restando che questo non è un vero e proprio gruppo che si scioglie e rimettere in pista una sigla al buon Reznor costerebbe nulla, è stata comunque messa una bella parentesi finale con un tour intitolato, non a caso Wave Goodbye.
Per i fan italiani rimane un'ultima data, il 22 luglio a Roma. Mentre chi ha visto il concerto dell'Idroscalo, sapendo che sarebbe stata con ogni probabilità l'ultima occasione di vedere i Nine Inch Nails su un palco, non è rimasto deluso.
Il live è stato una botta di muscoli, cervello e adrenalina. Trent Reznor, che con la carne accumulata negli anni è diventato un torello compatto, una specie di marine, sul palco funziona ancora come un detonatore; e se alle sue capacità di performer si aggiungono una scaletta condensata e calcolata al millimetro sui tempi e una band che lo segue a dovere, tutto sommato l'addio non poteva che essere all'altezza delle aspettative. Così è stato, infatti. Merito anche del vecchio compagno Robin Fink, di Ilan Rubin, impegnato a pestare in modo torrenziale nel delicatissimo ruolo di batterista di un rullo compressore e da Justin Meldal-Johnsen - che i più ricorderanno per i suoi trascorsi con Beck - al basso.
Alla rinfusa nella memoria post-concerto si affacciano istantanee di 1,000,000 e dei pezzi più o meno nuovi, tutti i dettagli delle marziali Terrible Lie e Reptile, l'ipercinetismo di Mr. Self Destruct, Burn, Wish, Last, Gave up, l'onusto grido di tante battaglie cybersoniche: Head Like a Hole; e su quell'attacco scombussolato al cardiopalma di March of the Pigs, inutile dirlo, le gambe si muovevano da sole. Mai suono di un collasso sarà più attraente. Lo si chiami techno - o industrial - ma è stato e rimarrà soprattutto iper-rock. Tra il belligerante gioco di luci e il volume complessivo degli strumenti, la quantità di forza elettromotrice attiva su quel palco risultava
una tra le più alte registrabili in un concerto. Questa, almeno, la netta impressione; e già si sentiva che sarebbe rimasto del rimpianto in base a quanto rimane nella scena di oggi. Resta spazio per dire del martellare ipoteso di Piggy, The Fragile, del quadretto impressionista di La mer, e dell'immancabile Hurt. Momenti più tenui ma certo non remissivi; comunque di carattere. Questo concerto, molto più delle ultime prove discografiche, la dice lunga su quanto ci mancheranno i Nine Inch Nails.