Oggi la corte di moderazione (che nome fico che ho trovato eh?

) di questo forum si è riunita (mancavano il corvo e devils) per la visione di un film molto interessante (fine linguaggio formale/stile verbale).. Funny Games!
Inizialmente dovevamo vedere il cavaliere oscuro, ma pazienza...
Il film è molto bello (a parer mio). Vi sono alcune "citazioni" di arancia meccanica e altre citazioni "surrealiste" molto stile "Oltre il giardino". E' vero, sarà pieno di violenza eccessiva, e forse non è "trattata" come in Arancia meccanica, ma comunque riprende quello stile di "violenza psicologica e non esplicita" che a me personalmente piace (non fatemi sadico però

)... se uno infatti prende in mano il copione del film e tralascia le azioni, leggerà un semplice colloquio (a tratti anche apparentemente amichevole) tra due persone che non si conoscono... i fatti sono diversi...
la trama è questa:
Arriva proprio allo scadere della stagione uno dei film più interessanti, ma anche il più disturbante e angoscioso dell'anno. Funny games mette in scena il sequestro di una famigliola americana da parte di una coppia di adolescenti in tenuta da tennis e guanti bianchi. Nella sua esibita normalità, il prologo è stranamente gravido di presagi. La tragedia comincia con la richiesta di uova, secondo gli usi dì buon vicinato, continua tra colpi di mazza da golf e brutalità assortite, con i visitatori che provano un sadico piacere a violentare la gentile famiglia. Impotente come il padre, nei cui occhi si legge un terrore crescente, lo spettatore assiste allo stupro sperando che qualcuno, o qualcosa, intervenga a salvare le vittime. Non è forse questa la regola dell'"abuse-movie", tipologia narrativa frequentata da grandi registi (Wyler e Kazan, Huston e Scorsese) che fa soffrire lo spettatore all'unisono con le vittime degli abusi, ma poi lo consola ristabilendo ordine e giustizia? Non bisogna aspettarselo, però, da Haneke; il regista austriaco ribalta come un calzino la logica dell'happy end; anzi, si accanisce sempre più sulla famigliola e, contemporaneamente, sullo spettatore. Si permette, addirittura, di mescolare la brutalità con l'ironia: lascia che il crudele Peter, ideologo dell'atto gratuito, interpelli direttamente il pubblico o che si faccia beffe delle motivazioni psicologiche che si usa spacciare in questi casi. A un certo punto, pare voglia ribaltare le sorti della vicenda (un fucile spara contro i malvagi), ma poi ci ripensa.
Insomma: gioca sistematicamente a frustrare lo spettatore; mettendone allo scoperto i nervi. Le motivazioni di un simile gioco al massacro potrebbero sembrare patologiche: se la manipolazione delle nostre paure non corrispondesse a un piano preciso: metterci di fronte al rapporto che ciascuno di noi intrattiene con i media quando rappresentano la violenza. Sappiamo che la violenza è un prodotto di consumo corrente, banalizzato, sfruttato per fare audience? Ebbene, fatta terra bruciata di tutti gli alibi che ci permettono di consumarla sentendoci incolpevoli, Haneke adotta la terapia omeopatica, mettendoci di fronte alla natura equivoca del nostro piacere di voyeur. Anche il suo film, beninteso, bagna nell'ambiguità; però l'operazione è di un'estrema intelligenza; un gesto autoconsapevole di pop-cult che fa impallidire, al confronto, lo "Psycho" rifatto da Gus van Sant. Anche Funny games, del resto, è un remake: del film omonimo che, undici anni fa, lo stesso Michael realizzò con cast e ambientazione europee. Il regista lo ha rifatto inquadratura per inquadratura, senza variare praticamente nulla (se non minimi particolari: come il telefono, che ora è un cellulare) a parte gli interpreti; un cast internazionale scelto per farlo giungere a quello che il cineasta considera il suo destinatario naturale: il pubblico americano, principale consumatore di violenza per immagini. Consapevole che il suo film, crudele e visionario, col tempo — anziché invecchiare—ha acquistato in attualità.Da La Repubblica, 11 luglio 2008
Pregherei anche giakello e lorenzone di commentare...
